Un giovane garzone, scoperto a rubare del vino, viene ucciso
Come tutte le leggende non c’è tempo e non c’è dettaglio preciso degli eventi. Eppure questa storia continua a riecheggiare, non più nelle vallate bidentine, ma nella memoria e nei racconti degli anziani che lì vivevano e che l’hanno sentita raccontare nelle lunghe veglie serali intorno al camino con i vecchi che “incantavano” i bambini con storie di ogni tipo, anche di paura, di "borde" e di fantasmi.
Un “nocentino” - così si chiamavano allora gli orfanelli o gettatelli che venivano consegnati allo Spedale degli Innocenti, un istituto che provvedeva all’infanzia abbandonata a Firenze – che lavorava presso un casolare nella vallata di Ridracoli, venne sorpreso dall’anziano padrone a rubare vino da una botte con una paglia, usata a mo’ di cannuccia. Il vino sarebbe stato rivenduto ai viandanti, ai boscaioli e ai carbonai che frequentavano quella zona.
Il vecchio, in preda all’ira, lo uccise con una bastonata. In tutto quel trambusto, la famiglia si consultò sul da farsi e si decise di far sparire il corpo bruciandolo nel forno, convinti che nessuno si sarebbe mai fatto vivo per cercare un ragazzo che non aveva famiglia.
Da quel giorno però il fantasma del giovane ucciso prese a tormentare la famiglia con scherzi e manifestazioni di ogni tipo: già dopo pochi giorni dalla sua morte si manifestò come una fiammella che si aggirava intorno a casa, si udivano lamenti provenire dalla cantina. Si racconta che quando preparavano la “pulenda”, la polenta, al momento di rovesciarla sulla “spianatoia” (il grande tagliere dove si tirava la sfoglia) questa sparisse. Allora, pazientemente se ne preparava un’altra e quando anche questa era pronta… ricompariva anche quella preparata in precedenza, fredda e indurita rendendo il tutto immangiabile. La notte le macine del mulino si avviavano da sole, tra lo stupore e l’inquietudine del mugnaio.
Stanchi e impauriti da questa presenza e dai numerosi eventi sfortunati che avevano colpito la famiglia, chiamarono un religioso che riuscì a relegare l’anima del garzone alla Foresta della Lama, liberando la famiglia da quella scomoda presenza. Qualcuno asserisce ancora che proprio a questo fatto sia collegato l’incendio della vetreria che si trovava alla Lama, un edificio costruito da Siemoni che produceva bottiglie e bicchieri, nel solco della tradizione boema del silvicultore granducale, e che andò bruciato in un incendio.
Foto: Ridracoli, anni '50 (Archivio Fotografico Onofrio Leoni)