Da Firenze a Castagno d’Andrea per sfuggire all’ira di Lorenzo il Magnifico
La tensione poteva essere “affettata con un coltello” quella mattina del 26 aprile 1478.
Il piano era stato così accuratamente elaborato ieri, eppure qualcosa é andato storto!
Salviati aveva garantito che i due fratelli sarebbero stati al banchetto in onore di Raffaele, nipote del Papa. Ma Giuliano ha avuto un malore e così la soluzione più semplice, mettere del veleno nelle loro coppe, è sfumata.
Montesecco vile! Quale onore può vantare un condottiero in più di un cavaliere per rifiutare di compiere l’atto che gli avremmo così lautamente pagato? Chissà se i due preti saranno all’altezza del compito. Ma non importa, non importa. Santa Maria del Fiore rimane l’unica possibilità, non ne esistono altre, Dio capirà, Dio perdonerà un atto fatto in un così sacro luogo ma in nome della libertà della Repubblica.
Abbiamo l’appoggio di Sisto IV ma anche quello di Siena, di Todi, Imola, Città di Castello, Perugia, del Re di Napoli. Due eserciti aspettano fuori da Firenze il segnale convenuto per attaccare.
Non si poteva tornare indietro: Lorenzo e Giuliano dei Medici devono morire, la tirannia deve essere distrutta. Noi, i Pazzi, antica famiglia feudale il cui capostipite aveva partecipato alla liberazione di Gerusalemme, assumeremo la guida della città appoggiando Girolamo Riario. Noi e non quei pezzenti dei Medici, nati come mercanti e cresciuti spremendo le tasche di famiglie nobili e re con i loro prestiti usurai. Pezzenti, che avevano addirittura osato sfidare il Papa, guardando alla Romagna per l’espansione del loro potere.
Questi probabilmente erano i pensieri che attraversavano la mente di Iacopo dei Pazzi e di suo nipote Francesco all’alba della più grande congiura organizzata nelle Firenze rinascimentale, nonché della più grande catastrofe che portò un’intera famiglia alla rovina. Pensieri di giustizia e rivalsa.
All’inizio la fortuna sembrò arridere ai congiurati: Giuliano non portava la cotta di maglia e nemmeno il coltello da guerra alla cintura, perché gli avrebbe colpito una ferita che aveva alla gamba. Lo avevano verificato mentre lo accompagnavano in chiesa, abbracciandolo ripetutamente. In fondo erano parenti e quegli atteggiamenti amichevoli non erano parsi sospetti.
Nel culmine della cerimonia religiosa l’attacco scattò e Giuliano fu colpito ripetutamente alla schiena, al petto. Lorenzo, attaccato in un secondo momento, fu difeso da Andrea e Lorenzo Cavalcanti, suoi fedeli scudieri e dall’artista Angelo Poliziano che, cronista degli eventi, racconterà poi come riuscì a proteggere l’amico facendolo scappare in sacrestia, ma il compito decisivo fu assolto da Francesco Nori che, frappostosi tra Lorenzo e il sicario, pagò con la vita la fedeltà ai Medici.
L’errore più grande dei Pazzi, tuttavia, non fu aver scelto sicari inesperti, quanto aver completamente frainteso il popolo di Firenze. Quando Iacopo cavalcò in Piazza della Signoria gridando “Libertà!” le reazioni della folla furono esattamente contrarie alle sue aspettative.
Lorenzo dei Medici, dopo essere riuscito a fuggire da Santa Maria del Fiore organizzò una vera e propria caccia: Francesco dei Pazzi e l’arcivescovo Salviati, uccisi, penzolarono a lungo dalle finestre di Palazzo Vecchio. Iacopo invece riuscì a fuggire e raggiunse un piccolo borgo di montagna che oggi si trova ai confini del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi: Castagno d’Andrea.
Qui chiese rifugio alla famiglia dei Guidi, la stessa che circa cento anni prima aveva dovuto vendere i castelli e le proprietà alla Repubblica. Ma la sua fuga non durò a lungo: denunciato da un contadino del posto fu catturato dalle milizie fiorentine e mandato incontro alla morte, il suo corpo fu gettato in Arno.
E così in quella primavera del 1478 antichi poteri scomparivano e nuove egemonie nascevano.
Foto: Castagno d'Andrea di Eleonora Orsini