“Perimetrazione provvisoria e misure provvisorie di salvaguardia del Parco Nazionale del Monte Falterona, Campigna e delle Foreste Casentinesi” con questo titolo il Decreto del Ministero dell’Ambiente del 14 dicembre 1990 sancisce la nascita di un Parco Nazionale tra Toscana e Romagna. Quest’ultima già dal 1988 aveva un Parco regionale: il “Parco del Crinale romagnolo”. L’ente regionale dell’Emilia-Romagna ha gestito l’avvio del nazionale dal 1990 al 1993 quando con Decreto del Presidente della Repubblica del 12 luglio ha istituito l’Ente Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.
La sintesi del Presidente Luca Santini
Trent'anni sono una soglia temporale che, forse per la sovrapposizione con i cicli della nostra vita, evocano l'esigenza di un bilancio.
La parola “perimetrazione” può forse richiamare in qualcuno la “tentazione del muro”, la prevalenza della dimensione “reclusiva” su quella protettiva.
Ebbene noi sappiamo che due grandi forze hanno agito sulla storia delle Foreste casentinesi: una di massimo sfruttamento - che non a caso portò nel 1884 alla petizione del Municipio di Pratovecchio al parlamento
nazionale “(…) per evitare la vendita della Foresta Casentinese a qualche speculatore che poco curandosi del bene futuro, volesse lucrare sul presente...” - e quella conservativa, oggi idealmente rappresentata da Sasso Fratino, “core area” del primo sito patrimonio dell'umanità UNESCO riconosciuto in Italia per il suo valore ecologico. Siamo in grado di capire quale tra queste istanze sia stata dominante nei secoli se consideriamo che Sasso Fratino, prima riserva naturale integrale italiana, istituita nel 1959, mai ci avrebbe potuto consegnare una “capsula del tempo” - piante ultracentenarie che hanno “convissuto” con Michelangelo e Cristoforo Colombo - se l'area non si fosse trovata in una zona dove le attività di esbosco, a causa della aspra morfologia del terreno, non erano remunerative.
Il regime a tutela progressiva, realizzato attraverso le “zonazioni”, ci permette di agire sul doppio registro della tutela e dello sviluppo economico sostenibile, laddove è pacifico che il patrimonio ambientale, in una miscela inscindibile con la storia e la cultura dei luoghi, condizione per alti standard di vita dei residenti, è il principale asset turistico dei territori sui quali l'area protetta insiste.
Noi sappiamo che uno sfruttamento intensivo determinerebbe benefici limitati immediati, portando ad un depauperamento di risorse che già in troppe parti del mondo abbiamo visto, con conseguenze insostenibili, anche dal punto di vista strettamente economico, per la vita delle popolazioni locali. Il lettore non si lasci traviare da quello che sembra un artificio dialettico: la necessità di gestire con misura una risorsa limitata è una priorità che contraddistingue queste montagne da molto prima che arrivassero le tecnologie moderne in grado di riprodurre “tagli di guerra” su amplissime estensioni forestali nell'arco di pochi mesi.
Le nostre straordinarie foreste contribuiscono alla diversificazione delle forme biologiche necessarie alla vita umana, svolgono un ruolo fondamentale nel ciclo delle acque, garantiscono la difesa da frane e erosioni, e si prendono carico dell'assorbimento di quantità sterminate di carbonio.
Alcune recenti stime accademiche fissano la "cattura" annuale da parte di un faggio vetusto come l'equivalente, nello stesso arco temporale, di sette automobili.
Foreste come quelle del Parco nazionale, uniche nel panorama europeo, sono ormai universalmente riconosciute dal mondo scientifico come sistemi adattativi a complessità progressiva. Perché una foresta possa compiutamente svolgere tutte le sue interconnesse funzioni è necessario che siano assicurati spazi ed intervalli di tempo estesi. Per una valutazione di questo genere la principale difficoltà per l'uomo è quella di concepire e rispettare cicli di vita enormemente più lunghi dei suoi. Allo stesso tempo tutti conveniamo che non avrebbe alcun senso “opera magnifica” (magari quella di un artista) che non potesse essere consegnata alle generazioni successive.
Non è certamente un caso che le più grandi calamità che hanno vissuto le Foreste casentinesi corrispondano con le più grandi catastrofi del genere umano: le fotografie che seguono i due conflitti mondiali - montagne consegnate alla loro monotona nudità - fanno intuire la fragilità di questo patrimonio. E, mai come in questi mesi di pandemia, le sue selve antiche, i suoi ruscelletti, le sue terrazze su panorami mozzafiato, i suoi sterminati cromatismi autunnali, hanno rappresentato, per persone salite in numeri mai visti prima nella “grande foresta”, lenimento all'angoscia e dispensatrice di quella serenità che sarà necessaria alla nuova ripartenza del Paese. Il nostro compito, quanto mai “istituzionale”, è appunto quello di riconoscere la fragilità del Parco e tutelare la sua capacità di essere risorsa di protezione e sviluppo per l'umanità.