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ZSC IT5180005 Alta Vallesanta – 5.038 ha
Scendendo verso il confine meridionale del Parco, si arriva al cospetto di una delle vallate più suggestive e ricche di storia dell’area protetta. Il Sito ricade nell’alta valle del torrente Corsalone e trova confine nel suo bacino idrografico comprendente numerosi fossi che scendono a valle dal crinale. Racchiude inoltre buona parte dell’Alpe di Serra, dal Passo dei Mandrioli al Passo Rotta dei Cavalli. Il paesaggio che si incontra viaggiando nella valle è unico: gli estesi lembi di bosco dominati da cerro e carpino nero e le ampie superfici gestite a pascolo o coltivate sono arricchite dalla presenza di numerosi borghi tipicamente montani, con case in pietra e vicoli ripidi, che trasudano di storia e di tradizioni. Si narra che nel 1224, anno in cui San Francesco ricevette le stimmate presso il Santuario della Verna, la valle che si apriva di fronte a lui in direzione di Badia Prataglia si illuminò improvvisamente di una luce intensa. Da quel momento, prese il nome di Vallesanta.
La ZSC “Alta Vallesanta” include 12 habitat codificati dalla Direttiva, di cui ben 4 di interesse prioritario. L’azione intensa dell’uomo ha plasmato questi ambienti creando un mosaico di formazioni seminaturali ricche di biodiversità animale e vegetale. A saltare subito all’occhio sono gli ampi spazi aperti che si allargano nella vallata e interrompono la monotonia del bosco. Tra gli habitat gestiti trovano ampio spazio le “Praterie magre da fieno a bassa altitudine (Alopecurus pratensis, Sanguisorba officinalis)” (cod. 6510), ovvero praterie da sfalcio tipiche della fascia submontana, ricche di specie e poco concimate. Sono dominate dall’Avena altissima (Arrhenatherum elatius) e vengono sfalciate come di consuetudine una o due volte l’anno, dopo la fioritura delle graminacee, per la produzione di foraggio. Di norma, queste formazioni si intervallano ad altri habitat anch’essi ricchi di peculiarità: si tratta degli arbusteti dominati da Ginepro (Juniperus communis) su suolo calcareo (cod. 5130) e delle praterie secche seminaturali con fioritura di orchidee (cod. 6210*). Ambedue sono in stretto contatto tra loro e rappresentano alcuni degli stadi del processo di ricolonizzazione messo in atto dal bosco. La foresta, infatti, circonda tali aree aperte e perpetua la sua espansione nelle aree sottratte dall’uomo. Gli habitat forestali sono molto variegati: tra i più estesi ricordiamo i boschi misti mesofili a dominanza di Cerro (Quercus cerris) e Carpino nero (Ostrya carpinifolia) (cod. 91L0) che costituiscono le formazioni dominanti. Non manca la presenza degli habitat di faggeta nei versanti più freschi (cod. 9110, 9210*, 9220*) e delle formazioni ripariali nei pressi dei fossi e dei corsi d’acqua principali (cod. 91E0*).
La ricchezza di specie vegetali si riflette in una eguale abbondanza di fauna: numerosi uccelli, mammiferi e insetti trovano rifugio, nutrimento e siti per la riproduzione proprio in queste ampie radure. L’Averla piccola (Lanius collurio), uccello passeriforme della famiglia dei Laniidae, è piuttosto diffusa e ben distribuita nelle aree agricole collinari e di media montagna ed è considerata specie protetta (Allegato I della Direttiva Uccelli). Non è un caso se i dati più recenti confermano la sua presenza per tutta l’area della Vallesanta, della Verna e del Monte Calvano. In queste realtà si mantengono ancora vive le attività zootecniche e ciò permette una gestione attiva di pascoli e praterie che riduce la ricolonizzazione del bosco e la chiusura degli spazi aperti. L’Averla è strettamente legata a questi habitat per la sopravvivenza: la troviamo sempre nelle vicinanze di radure e pascoli con buona presenza di arbusti (soprattutto spinosi) e alberi che fungono da posatoi. Da questi possono avere una buona visuale di tutta l’area al fine di procurarsi del cibo e scacciare eventuali intrusi. Una curiosità: l’Averla ha l’abitudine di infilzare le prede in eccesso (generalmente insetti ma anche piccoli vertebrati) su rami appuntiti o spine, creando una sorta di dispensa.
Come tutti i siti del Parco, anche la ZSC “Alta Vallesanta” presenta alcune criticità per quanto riguarda i fattori di minaccia. Più precisamente, la non gestione e il conseguente abbandono delle tradizionali pratiche agro-silvo-pastorali sono gli elementi principali che mettono a rischio la sopravvivenza di specie animali e vegetali presenti nel Sito. Il recupero delle attività di sfalcio periodico in alcune aree e il restauro della presenza antropica nei borghi della Vallesanta potrebbero rappresentare soluzioni efficaci per conservare correttamente questo scrigno di biodiversità.
Foto:
Copertina: Montefatucchio (F. Liverani)
Infografica: Tottavilla (M. Nalin), altre (A. Pica)