Conoscere la Natura…2000!
ZSC IT5180018 Foresta di Camaldoli, Badia Prataglia – 2937 ha
ZSC IT5180003 Monte Faggiolo, Giogo Seccheta – 88 ha
I due siti di cui vi racconteremo questa volta racchiudono alcune delle faggete più belle di tutto il Parco: per fini pratici, si è deciso di trattare il sito di Monte Faggiolo, Giogo Seccheta (il più piccolo dell’intero Parco!), insieme al più esteso e ricco ZSC IT5180018 Foresta di Camaldoli, Badia Prataglia. Uno dei motivi di questa scelta risiede nella somiglianza tra i due siti: da un punto di vista floristico, vegetazionale e faunistico presentano molte caratteristiche comuni e pressoché vi si realizzano i medesimi habitat. Il primo sito si estende nella porzione di crinale che va da Prato Bertone al Passo dei Mandrioli. Da qui scendendo verso valle, trova i suoi confini nella linea di cresta che congiunge P.gio Segaticcio e P.gio Muschioso. Il secondo invece si colloca in un’area di crinale molto più ristretta, sviluppata intorno a Giogo Seccheta. La ZSC IT5180018 Foresta di Camaldoli, Badia Prataglia include 12 habitat codificati dalla Direttiva, di cui ben 3 di interesse prioritario mentre la ZSC IT5180003 Monte Faggiolo, Giogo Seccheta ne include 2, entrambi prioritari.
L’area interessata dai due siti (in particolare del IT5180018 Foresta di Camaldoli, Badia Prataglia) conserva uno dei complessi forestale più affascinanti e meglio conservati presenti nel Parco. La sua storia parte da lontano: è il 1012 e un benefattore dona un piccolo appezzamento di terreno (ca. 160 ha) a San Romualdo, fondatore dell’ordine dei Camaldolesi. Se la foresta di Camaldoli ci lascia oggi senza fiato con la sua maestosità e la sua bellezza lo dobbiamo alla saggia gestione plurisecolare dei Camaldolesi, che con dedizione (secondo le “consuetudini” prescritte) sono riusciti a preservare al meglio alcune porzioni del territorio toscano. Ma c’è dell’altro e il merito è di nuovo dei monaci: nel territorio di Badia Prataglia, si estende un altro importantissimo complesso forestale (di poco inferiore in termini di superficie a quello di Camaldoli) la cui storia è legata strettamente al rapporto sacrale con la foresta di Abete bianco (Abies alba). Qui la gestione forestale inizia già dall’anno 1002 (ancor prima della fondazione dell’Eremo di Camaldoli) grazie all’opera dei monaci Prataliensi. Gestione che passo ben presto nelle mani dei Camaldolesi, con l’assorbimento dell’ordine stesso (1157). Da un punto di vista vegetazionale, gli habitat di rilievo che si realizzano nelle due aree sono strettamente legati alla componente forestale e alle caratteristiche edafiche. Si tratta delle foreste di Faggio (Fagus sylvatica), Abete bianco e Abete rosso (Picea abies). La prima tipologia caratterizza i suoli acidi (Faggete del Luzulo-Fagion, cod. 9110) con presenza nello strato erbaceo di numerose poaceaee (Festuca heterophylla, Avenella flexuosa) e specie tipicamente acidofile (Veronica officinalis, Teucrium scorodonia, ecc.). La seconda tipologia di faggeta è tipica dei suoli neutri o quasi (Faggete dell’Asperulo-Fagion, cod. 9130) e viene suddivisa ulteriormente nel territorio del Parco in tre associazioni con ecologia e presenza di specie differenti (faggete basali mesofile, faggete mesofile eutrofiche e faggete termoigrofile).
Tra i luoghi ricchi di biodiversità non si può non citare la celebre Buca delle Fate di Badia Prataglia (AR): questa si apre a quota 1195 m s.l.m. lungo il versante sinistro del fosso di Fiume d’Isola, poco al di sotto della cima di Poggio Rovino. Si tratta di una delle più importanti cavità naturali del Parco, estendendosi per circa 70 m nelle viscere della montagna e scendendo per un dislivello di 5 m. La grotta ha avuto probabilmente origine da movimenti franosi: infatti, gli ambienti interni sono caratterizzati da morfologie di crollo causate dal distacco di porzioni rocciose. Lo stillicidio è molto intenso, tanto da alimentare una copiosa circolazione idrica nel sottosuolo. La cavutà, conosciutissima dai frequentatori del Parco, riserva molte sorprese: recenti studi hanno rivelato la presenza di specie troglofile (ovvero adattate alla vita sotterranea) di interesse conservazionistico quali chirotteri e invertebrati.
In linea generale, si può confermare che lo stato di conservazione di queste fitocenosi appare buono. La discreta estensione le rendono meno vulnerabili all’azione umana, che in passato è stata piuttosto preponderante. Attualmente, la preoccupazione più grande è dettata dal mutare delle condizioni climatiche che con il generale aumento della temperatura e diminuzione del volume delle precipitazioni sta causando notevoli problemi alle specie che risentono maggiormente dello stress idrico, ad esempio i popolamenti a dominanza di Faggio.
Foto
Copertina: Rampichino alpestre (Certhia familiaris) di Francesco Lemma
Infografica: Vespertilio maggiore (Myotis myotis) - Foto fornita dal Progetto LIFE 08 NAT/IT/000369 Gypsum e dal fotografo naturalista Francesco Grazioli, foto Abetina di Camaldoli e Acero montano (Acer pseudoplatanus) di Antonio Pica