Immagine news: 
Ridracoli (foto di Pietro Zangheri, 1939)

Una curiosa vicenda della seconda metà del ‘400


Ridracoli oggi è conosciuto soprattutto per la diga. Luogo di richiamo turistico, a valle della Lama, di fronte alla Riserva di Sasso Fratino.
La tradizione popolare fa derivare questo nome da un antico tempio pagano, situato presso il torrente, dove una sibilla dava i suoi oracoli: Rivus oracolorum, Rio degli Oracoli. 
Le prime notizie di Ridracoli risalgono al XIII secolo, quando era un possedimento dei Conti Guidi di Modigliana. Nella Descriptio Romandiole del Cardinale Anglico del 1371 viene censito come un castrum, con sei focularia (nuclei familiari). Nel XV secolo Ridracoli apparteneva al Capitanato di Bagno, dipendendo però spiritualmente dall’antica diocesi di Sant’Ellero a Galeata. Il castello di Ridracoli nel 1371 apparteneva ai Signori di Valbona, più tardi passò ai Guidi di Battifolle e nel 1440 alla Repubblica di Firenze.
Ebbene, le acque di Ridracoli e le sue trote erano evidentemente ben note anche nel passato, come ci testimoniano alcuni documenti storici.
Nel 1363 Azzo di Franceschino, di Valbona, concede al Priore di Camaldoli la possibilità di pescare le trote nel torrente.  
Ma è di circa un secolo più tardi un episodio curioso che ci conferma come queste trote fossero evidentemente ambite e probabilmente abbondanti, trovando lì un habitat ideale con acqua fresca e corrente: nel 1475 il Capitano di Bagno, Gaspare della Volta, scrive a Lorenzo de’ Medici, comunicandogli di aver catturato un gruppo di pescatori di frodo nel torrente di Ridracoli. 
Ma perché mai il Capitano si rivolge al Signore di Firenze per un episodio in fondo di poco conto?
Il Capitano in realtà si trovava in difficoltà, infatti nella lettera scrive a Lorenzo spiegandogli di come avesse provveduto a fare “isbandire e ghuardare il vostro fiume di Ritràgholi, perché m’avisasti volere venire in questa astate a ddarvi sollazzo e ppeschare …”. Evidentemente il signore fiorentino amava rilassarsi pescando nelle fresche acque del Bidente di Ridracoli e il Capitano gli aveva riservato in maniera esclusiva il torrente in modo che lo trovasse il più possibile pescoso.
Il Capitano, però, prosegue nella missiva scrivendo che la sera prima un certo “Farlingasso del Borgo a Stia”, con otto suoi compari, era stato sorpreso a pescare nel fiume, evidentemente di frodo.
Fin qui tutto chiaro, ma Farlingasso dichiara, forse per salvarsi, di essere un amico di Lorenzo De Medici e da lui autorizzato, mettendo il Capitano, intenzionato a punirlo severamente, in seria difficoltà. Se era vero quanto da lui dichiarato, punendolo avrebbe fatto dispiacere a Lorenzo, allo stesso tempo se invece era una bugia avrebbe dovuto punirlo in modo esemplare. 
Ed è così che scrive al Magnifico chiedendogli se davvero fosse suo amico e se davvero avesse il suo permesso, per regolarsi di conseguenza. Infatti, dice che se non è vero che questi signori erano autorizzati da Lorenzo “… farò loro ismaltire le lische senza mangiare pesci”!" Infine, per non sbagliare e aggraziarsi comunque il suo Signore, il Capitano invia a Lorenzo anche due “bighoncioli di trote”.
Non sappiamo come finì questa storia e se Farlingasso scampò o meno alle ire del Capitano, quello che è certo è che il Magnifico doveva davvero gradire molto le trote se è vero che qualche anno dopo il Capitano Francesco di Bagno gli scrive inviandogli … trote e scusandosi perché “non sono tante quante vi si converrebbono”.